Dopo il successo di critica e pubblico della scorsa stagione Elsinor e LEART ripropongono al Teatro Sala Fontana Romeo & Giulietta. Nati sotto contraria stella, di cui i veri protagonisti non sono i personaggi dell’opera, ma sette vecchi comici girovaghi che si presentano al pubblico per interpretare La dolorosa storia di Giulietta e del suo Romeo.
Nel teatro elisabettiano, quando un drammaturgo metteva mano a un testo, non si poneva l’obiettivo di scrivere un’opera letteraria. Suo compito era quello di fornire gli attori di elementi strutturati e verbali necessari per poter raccontare una storia, e far sì che chi l’ascoltava si sentisse partecipe. Spesso si limitava a trascrivere per la scena un poema già esistente, il più delle volte conosciuto anche al pubblico. Raramente gli autori facevano pubblicare i loro scritti; Shakespeare non lo fece mai. La maggior parte delle sue opere vennero stampate molti anni dopo essere andate in scena. Erano pubblicazioni che non si basavano su manoscritti dell’autore, ma su semplici ricostruzioni mnemoniche, ad opere di alcuni attori che avevano preso parte alle prime rappresentazioni o di editori che vi avevano assistito. Di una stessa opera potevano essere stampate versioni diverse, ridotte ai suoi momenti memorabili, con molte imprecisioni, ripetizioni o omissioni di frasi intere, confusioni nella designazione della battuta e altro ancora. Quindi le opere di Shakespeare, che noi oggi leggiamo, in realtà non sono altro che ricostruzioni congetturali di quelle che, il singolo curatore, ritiene siano state le intenzioni dell’autore nello scrivere il testo.
Punti cardini di quel teatro elisabettiano erano il Gioco, la Metaforae il Travestimento.
Le compagnie erano composte da dieci, dodici attori più qualche avventizio, che fungeva da comparsa. Poiché in uno spettacolo potevano esserci anche una quarantina di personaggi, era diffusa la pratica del doubling, che consisteva nell’affidare diverse parti ad uno stesso attore. Questa pratica era stata presa in prestito direttamente dai moralities e dagli interludes del Cinquecento, in cui opere con quindici, venti personaggi venivano interpretate da piccoli gruppi girovaghi che non comprendevano mai più di cinque, sei attori. Ed è proprio da qui che parte il lavoro sullo spettacolo.